Prima di partire lo zaino sembra in ordine
- sbregolin
- 7 gen 2015
- Tempo di lettura: 3 min
Eccomi pronto a partire, anche se pronto mi sembra una parola grossa, enorme. Io non mi sento pronto per niente, ho tracciato un percorso di 11000 chilometri, attraversando 7 paesi e facendo due volte su e giù per la cordigliera delle Ande. No, non sono pronto, allora ricontrollo ancora una volta lo zaino, rifletto se c'è tutto quello che serve: le cartine, il taccuino, il poncho, l'ereader. Sono finiti i tempi romantici in cui con me avevo libri cartacei, adesso ho un'intera libreria nello spazio di pochi centimetri, non male è male, non credo che tornerei indietro. A sorpresa in Sud America mi porto un pezzo di Russia, il sergente della neve del mio compaesano Mario Rigoni Stern, Buonanotte signor Lenin di Tiziano Terzani e il maestro e margherita di Bulgakov. Prima domanda banale: perché non ti porti cent'anni di solitudine di Marquez come tutti quelli che vanno in Sudamerica? Non lo so, è venuta così, si sono fatti scegliere loro tre sugli scaffali (scaffali elettronici ndr), un motivo ci sarà.
Lo zaino sembra in ordine, mancherà di sicuro qualcosa, di essenziale, di primordiale, che mi sono ripetuto decine di volte di mettere nello zaino, e che ovviamente ho scordato. Perché quando si parte c'è una sola e unica obbligazione: non essere pronti. Puoi organizzare il percorso per settimane o mesi o partire alla sprovvista, conoscere tutte le tue tappe a memoria, aver letto tutti i saggi accademici pubblicati sui luoghi che incontrerai o non sapere nemmeno che lingua si parla, non fa molta differenza, l'importante è solo e unicamente non essere pronti. Sentirsi impreparati, inadatti, insicuri. Aver il timore che non sia il momento giusto, di non essere la persona giusta, che in fondo in fondo il salotto è caldo e asciutto e perché mettersi in cammino proprio adesso. Se è un viaggio e non una vacanza turismo l'entusiasmo è l'ingrediente meno importante del cocktail pre-partenza. Gli ombrellini di cartone li lasciamo al Club Med. Quello che conta è la strizza allo stomaco, un pizzico di paura, qualche dubbio: sono questi gli ingredienti che preparano a un viaggio che in quanto tale deve cambiarti. Normale aver dei timori, la sola certezza è che non ritornerai mai più lo stesso. Viva la revolucion.
Lo scrittore americano Steinbeck diceva che non sono le persone a fare i viaggi ma i viaggi a fare le persone. Mi piace, mi ci riconosco, mi ritrovo in questa citazione come se fosse stata fatta su misura per me. Non mi piace farli i viaggi, organizzarli, sapere già a cosa andrai incontro, essere giudice e maestro della situazione. A me piace l'opposto: inspirare profondamente, trattenere il respiro, chiudere gli occhi e tuffarmi. Il resto non lo decido io, per il resto mi lascio forgiare, prendo la forma del contenitore. Non lo so neppure più io cosa penso, chi sono e cosa voglio. Ormai con gli anni tutto quello che sono diventato sono pezzi di strada, frammenti di cammino, di peregrinazione, di incontri sempre troppo brevi per riuscire a dire tutto, di fatalità sempre troppo grandi per poter aver margine di scelta. Vivo così ormai da più di dieci anni, con tempi e modalità diverse ogni volta, non mi fermo certo perché ho superato i trent'anni e "la vogliamo mettere la testa a posto?" la mia testa va benissimo così com'è e follia semmai è rinunciare a tutto per un mutuo o un contratto a tempo indeterminato. Con tutto il rispetto per chi fa dei sacrifici: ma non fa per me!
Allora ripercorro l'itinerario, le tappe, ricalcolo i chilometri, le destinazioni. Tutti quei luoghi che in queste settimane di ricerca e studio sono diventati famigliari, per ritornare misteriosi e affascinanti a pochi giorni dalla partenza. Perché ad un certo punto non basta più la voglia di perdersi e ritrovarsi, ad un certo punto se ti vuoi perdere ti ci devi mettere d'impegno. Si dice che si perde chi fa poca attenzione, io non sono d'accordo, a volte occorre volersi intimamente e profondamente ritrovare con la testa all'ingiù. Lo smarrimento è una scienza perfetta, è il ritorno agli equilibri a essere un gioco del caso. Per questo da un viaggio si torna cambiati, senza sapere prima come, e per questo sono i viaggi a fare gli uomini, e non viceversa.
Stavolta, per essere sicuro che mi ritroverò perso ho deciso di allungare l'itinerario: 11000 chilometri, dovrebbero essere abbastanza per confondermi le idee. 7 frontiere da attraversare, questo forse mi disorienterà un po' meno, quando vai da Sarajevo a Belgrado non ce ne sono molte di meno, e ormai mi sono abituato: il gioco è ottenere il maggior numero di timbrini sul passaporto. La soddisfazione è la faccia perplessa del doganiere, che di solito gli si legge in faccia quello che pensa "Ma perché questo non va in aereo come tutti gli altri?".
Semplicemente perchè l'aereo è noioso!
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